Tanto parve che il sol venisse mèco, nel trovar la vanga al suo fratello e scoprir la terra come bieco fa la gazza in cerca del gioiello. Ruba l’oro per far de lo mondo il padrone delle sue ricche sementi, ma da schiavo poi si ritrova a tribolar l’infausti doli e li lamenti. Torce e macina tutti li pensieri e pigia pigia fino a che lo grano è macero e di polvere s’imprima, e con le mani bianche di calcina muove ed arma dalla sera alla mattina. Move lo cor di fremiti e tormenti fino a chiedersi ancor se è la ruota o l’asino a dar sostentamenti. Ma lo tempo è lui il sol intenditore e mette a dura prova se non vè pratica ed onore. L’onore di quest’arte che tutto crea ma anche divide, sotto lo vaso che d’albedo bagna d’argento le vestige. Quelle vestige spoglie che al cor da lo piacere, ma quando mal si porge delude al sol vedere. Il temerario uomo che prova la sua veste è quello che conosce l’arte e come cresce. Cresce come lo pane, quello lievitato, ne prendi lo pezzetto ma senza lo “foco” giusto non vedi lo perfetto.